Il sogno della rana


Nessuno mi ha detto che sarei stato orfano, un giorno. Probabilmente ero troppo piccolo e nessuno pensava che essere orfani fosse altrettanto doloroso che essere malati. Men che meno dirlo. In un solo giorno, mio fratello fu inghiottito da un ospedale e io da un senso inesplorato di abbandono. Tipo ottobre, quando il tempo era scandito da nebbia, castagne e scoperta dell'america, mi trovai in una camera, un tempo rumorosa e vivace, ora vuota e inquieta. Fa effetto, no? E di quell'altra volta che Irma mi defini' un rospo, le ho parlato? Irma, la nave scuola del quartiere, la zoccola che si limonava tutti i mei amici nei grandi pascoli della camporella, non poteva sapere quanta cicatrice lascia il disprezzo. Che tristezza in quel mare di dubbi e di brufoli, quanta tristezza. Poi il tempo passa, poi sopra le cicatrici si fa nuova pelle; ma basta niente per tornare rospi, un respiro per tornare orfani. Della maschera ad ossigeno non sa nulla, vero? Lo psicologo qui dice che la paura della morte strizza l'occhio al disfacimento. Se tutto scorre, bisogna imparare a nuotare. Se tutto finisce, inutile aspettare. La maschera ad ossigeno, ce l'aveva mio fratello ed e' l'ultima immagine che ho di lui. Insieme alla netta sensazione che volesse strapparsela. E' un privilegio raro, ascoltare l'ultimo desiderio di un condannato, mi creda, lucido nella sua comprensibile follia. Doni, le direi, l'orfanitudine del rospo, il suo egoismo anfibio, la sua orgogliosa bruttezza. Ma di certi doni si farebbe volentiei a meno. Conosce la favola, immagino, della principessa che si fida di un gracidio. Ma a me piace di piu' pensare che almeno quella volta si siano invertite e le parti: baciami, imbecille, sono una rana. Mi creda, signor giudice, anche i rospi amano sognare.