Ingegneria creativa, routine e comicità


Just because you don’t know how you’re creating a joke doesn’t mean you’re not creating one”
(G.Dent)

Ci sono attività che sono noiosamente ripetitive ed altre che sono ogni volta una gimkana. Se immaginiamo una gaussiana della vita, non possiamo negarci il lusso di pensare che ne facciamo delle une, delle altre e di parecchie vie di mezzo. Ma se siamo onesti, dobbiamo anche ammettere che alcune che pure ci sembrano ricche di eccezioni, se analizzate con metodo (e onestà intellettuale) diventano meno cariche di imprevisti e strutturabili sino ad essere insegnabili/'imparabili'. Nel nostro campo, ciò che permette al lavoro di scrittura comica di spostarsi dalla vita come una gimkana a una vita come via di mezzo tra apparente eccezionalità e concretà ripetitività è proprio l'ingegneria creativa, ovvero l'insieme di tecniche, procedure, standard e patrimonio collettivo di soluzioni finalizzate a realizzare un processo creativo di qualsiasi natura esso sia; per certi versi includendo persino la fase 'geniale' della ispirazione (brain storming, mappe concettuali, ecc.).

Modalità di analisi di un'attività

Charles Perrow, teorico inglese dell'organizzazione, suggerisce due dimensioni per analizzare un'attività:
varietà – frequenza di eventi nuovi e inattesi
analizzabilità - scomponibilità in singoli passi chiaramente definibili secondo procedure standard o conoscenze tecniche

La combinazione di queste due dimensioni definisce 4 situazioni 'pure':
Routinarie basso grado di varietà del compito ed alto livello di analizzabilità. Compiti formalizzati e standardizzati.
Artigianali varietà ed analizzabilità bassi. I compiti richiedono molta formazione ed esperienza.
Ingegneristiche varietà ed analizzabilità alta ma presenza di un corpo di conoscenze ben sviluppato per risolvere i problemi.
Non routinarie alto grado di varietà del compito e analizzabilità bassa. Molto tempo è dedicato all’analisi di problemi e attivita

Secondo Perrow, il territorio dello spettacolo (così come l'arte, la formazione, il general management) è caratterizzato da bassa analizzabilità e bassa varietà, quel territorio che l'autore definisce di attività specialistiche o, in altri termini, una sorta di artigianato di elevata qualità. Naturalmente, però, man mano che si riescono a isolare delle tecniche, delle procedure e dei modelli di comportamento di valore generale, progressivamente ci si sposta verso un mondo più 'facile' in cui, per estremo, la creatività può essere veramente insegnata. Questo è l'obiettivo dell'ingegneria creativa.

A cosa serve l'ingegneria creativa? Di base serve a due scopi: (a) a supportare la creatività nei momenti di crisi e (b) a liberare energia creativa, lasciando agli strumenti e alle routine il compito di pensare le parti meno divertenti della sperimentazione. A questa cassetta degli attrezzi appartengono, ad esempio, gli standard intesi come convenzioni, misure di riferimento, fondamentali; ma anche come il minimo indispensabile perchè un qualcosa sia a norma all'interno di un certo ambito professionale o disciplinare. Uno standard è un modello riconoscibile e replicabile, comunemente noto in un certo ambito. Esistono degli standard nel mondo del jazz, che sono più che dei fondamentali in uno sport, e assomigliano – probabilmente- agli schemi nel calcio o nella pallacanestro. Un modulo è uno standard, uno schema comico consolidato nel tempo è uno standard e a sua volta uno standard può mostrarsi a livelli di aggregazione e per oggetti diversi. Ci sono schemi di costruzione di battute standard (era talmente ricco che) così come schemi di organizzazione della battuta standard (premessa + spiazzamento = risata); schemi di barzelletta standard (ci sono un tedesco, un francese e un italiano...); schemi di organizzazione delle gag standard (chi gioca in prima base, la lettera di Totò, ecc.) e schemi di organizzazione di un intero spettacolo standard (le scalette, i copioni, i format, ecc.).

Ognuno di questi standard o schemi, a qualunque livello di aggregazione, rappresenta un punto di partenza per uno sforzo orginale di ideazione, nonché un valido punto di appoggio nei momenti di crisi. I generi sono uno standard. “Aspettando Godot”, ad esempio, crea il meccanismo dell'attesa (lo ritroviamo in -ad esempio- Nemico di classe di Niegel Williams). C'è lo spaghetti western, il film di viaggio, il rock melodico, la commedia degli errori. In ognuno di questi standard, le regole sono chiare, scritte, matematiche e predicibili. Al punto che, ad esempio in un giallo alla Poirot, siamo legittimati ad irritarci se lo standard viene violato, quasi giocassimo un'ideale partita a scacchi con l'autore (o la morte, ma questo è solo il caso del Settimo Sigillo).

Spostandoci ad un livello meno nobile, da Candid Camera nasce Scherzi a Parte, da Office il genere della mockufiction, da Jeopardy, Lascia o Raddoppia, Chi vuol essere milionario, e mille altri quiz. Tornando a gag e battute, l'impianto del 'Chi gioca in prima base?' (cfr. xxxxxx) , si ritrova in ogni dialogo basato su un equivoco, dai De Rege a Pappagone a Gigi e Andrea, Ric e Gian, Ale e Franz e via discorrendo. La lettera di Totò in “Totò, Peppino e la malafemmena” (“..Punto... due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo, adbondandis adbondandum”), l'ho vista rifare da Teocoli e Boldi, Cochi e Renato (Bravo 7+) e, last but not least, da Cevoli con Claudio Bisio. Se ci spostiamo sul piano delle battute, la classica 'da piccolo ero talmente povero che...' è solo un punto di partenza per ogni volo pindarico. Stefano Chiodaroli la chiude così: ...che se non avessi avuto il pistolino non avrei avuto niente con cui giocare. Valerio Peretti cosà: ...che i piccioni ci tiravano le briciole. In fondo, uno stesso oggetto e due fantastie diverse. Questo è il potere degli standard.